ripasso maturità

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oh! come! voi qui,caro? voi in questo luogo malfamato!

baudelaire perdita d'aureola in spleen di parigi

La via assordante strepitava intorno a me. Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore immenso, passò sollevando e agitando con mano fastosa il pizzo e l'orlo della gonna agile e nobile con la sua gamba di statua. Ed io, proteso come folle, bevevo la dolcezza affascinante e il piacere che uccide nel suo occhio, livido cielo dove cova l'uragano. Un lampo, poi la notte! - Bellezza fuggitiva dallo sguardo che m'ha fatto subito rinascere, ti rivedrò solo nell'eternità? Altrove, assai lontano di quì! Troppo tardi! Forse mai! Perchè ignoro dove fuggi, né tu sai dove io vado, tu che avrei amata, tu che lo sapevi!

baudelaire, a una passante in slpeen

La Natura è un tempio dove incerte parole mormorano pilastri che sono vivi, una foresta di simboli che l'uomo attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari. 4 Come echi che a lungo e da lontano tendono a un'unità profonda e buia grande come le tenebre o la luce i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi. 8 Profumi freschi come la pelle d'un bambino, vellutati come l'oboe e verdi come i prati, altri d'una corrotta, trionfante ricchezza 11 che tende a propagarsi senza fine - così l'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoino a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi. 14

baudelaire, corrispondenze in i fiori del male

Agata, dimmi, il tuo cuore fugge a volte lontano dal nero oceano dell'immonda città verso altro mare dove lo splendore brilla blu, chiaro, profondo come la verginità? Agata, dimmi, il tuo cuore fugge a volte? Il mare, il vasto mare consola le nostre pene! Che demone diede al mare, rauco cantante che l'organo infinito del brontolio dei venti accompagna, la funzione sublime di cullarci? Il mare, il vasto mare consola le nostre pene! Portami via, treno, portami via, nave! Lontano! Qui c'è del fango formato dai nostri pianti! - È vero che certe volte il triste cuore di Agata dice: lontano dai rimorsi, dai crimini, dai dolori portami via, treno, portami via, nave? Come sei distante, paradiso odoroso, dove c'è gioia e amore sotto un limpido azzurro, dove ciò che si ama è degno di essere amato, dove il cuore si annega nel piacere puro !Come sei distante, paradiso odoroso! Ma il verde paradiso degli amori infantili, le corse, le canzoni, i baci, i fiori offerti, i violini vibranti dietro le colline, con le brocche di vino, la sera, nei boschetti, - ma il verde paradiso degli amori infantili, il paradiso innocente dai piaceri furtivi, è già più lontano dell'India o della Cina? Si può richiamare con grida piangenti e popolarlo ancora di voci argentine, il paradiso innocente dai piaceri furtivi?

baudelaire, modesta et errabunda in i fiori del male

1. Oh quei fanali come s'inseguono 2. accidïosi là dietro gli alberi, 3. tra i rami stillanti di pioggia 4. sbadigliando la luce su 'l fango! 5. Flebile, acuta, stridula fischia 6. la vaporiera da presso. Plumbeo 7. il cielo e il mattino d'autunno 8. come un grande fantasma n'è intorno. 9. Dove e a che move questa, che affrettasi1 0. a' carri fòschi, ravvolta e tacita 11. gente? a che ignoti dolori 12. o tormenti di speme lontana? 13. Tu pur pensosa, Lidia, la tessera 14. al secco taglio dài de la guardia, 15. e al tempo incalzante i begli anni 16. dài, gl'istanti gioiti e i ricordi. 17. Van lungo il nero convoglio e vengono 18. incappucciati di nero i vigili,

carducci, alla stazione in una mattina d'autunno in odi barbare

I cipressi che a Bólgheri alti e schiettivan da San Guido in duplice filar,quasi in corsa giganti giovinettimi balzarono incontro e mi guardâr. Mi riconobbero, e "Ben torni omai"bisbigliaron vèr me co 'l capo chino"Perché non scendi? perché non ristai?Fresca è la sera e a te noto il cammino. Oh sièditi a le nostre ombre odorateove soffia dal mare il maestrale:ira non ti serbiam de le sassatetue d'una volta: oh, non facean già male! Nidi portiamo ancor di rusignoli:deh perché fuggi rapido così?Le passere la sera intreccian volia noi d'intorno ancora. Oh resta qui!". "Bei cipressetti, cipressetti miei,

carducci, davanti a san guido in rime nuove, non scrive per compiacere

Tu parli; e, de la voce a la molle aura lenta cedendo, si abbandona l'anima del tuo parlar su l'onde carezzevoli, e a strane plaghe naviga. Naviga in un tepor di sole occiduo ridente a le cerulee solitudini: tra cielo e mar candidi augelli volano, isole verdi passano, e i templi su le cime ardui lampeggiano di candor pario ne l'occaso roseo, ed i cipressi de la riva fremono, e i mirti densi odorano. Erra lungi l'odor su le salse aure e si mesce al cantar lento de' nauti, mentre una nave in vista al porto ammàina le rosse vele placide. Veggo fanciulle scender da l'acropoli in ordin lungo; ed han bei pepli candidi, serti hanno al capo, in man rami di lauro, tendon le braccia e cantano. Piantata l'asta in su l'arena patria, a terra salta un uom ne l'armi splendido :è forse Alceo da le battaglie reduce a le vergini lesbie?

carducci, fantasia in odi barbare, verso asclepiadeo, poeta guerrirero

Co 'l raggio1 de l'april nuovo 2 che inonda roseo la stanza 3 tu sorridi ancora improvvisa 4 al mio cuore, o Maria bionda 5;e il cuor che t'oblïò, dopo tant'ora di tumulti ozïosi in te riposa 6,o amor mio primo, o d'amor dolce aurora 7.Ove sei?senza nozze e sospirosa non passasti già tu; certo il natio borgo ti accoglie lieta madre e sposa 9;ché il fianco baldanzoso ed il restio seno a i freni del vepromettean troppa gioia d'amplessi al marital desio Forti figli pendean da la tua poppa 13certo, ed or baldi un tuo sguardo cercando al mal domo caval saltano in groppa

carducci, idillio maremmano in rime nuove, nemico romanticismo ma ci ricade sempre

O che tra faggi e abeti erma su i campi Smeraldini la fredda orma si stampi Al sole del mattin puro e leggero, O che foscheggi immobile nel giorno Morente su le sparse ville intorno A la chiesa che prega o al cimitero Che tace, o noci de la Carnia, addio! Erra tra i vostri rami il pensier mio Sognando l'ombre d'un tempo che fu. Non paure di morti ed in congreghe Diavoli goffi con bizzarre streghe, Ma del comun la rustica virtú Accampata a l'opaca ampia frescura Veggo ne la stagion de la pastura Dopo la messa il giorno de la festa. Il consol dice, e poste ha pria le mani Sopra i santi segnacoli cristiani: "Ecco, io parto fra voi quella foresta D'abeti e pini ove al confin nereggia. E voi trarrete la mugghiante greggia E la belante a quelle cime là. E voi, se l'unno o se lo slavo invade, Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade, Morrete per la nostra libertà". Un fremito d'orgoglio empieva i petti, Ergea le bionde teste; e de gli eletti In su le fronti il sol grande feriva. Ma le donne piangenti sotto i veli Invocavan la Madre alma de' cieli. Con la man tesa il console seguiva: "Questo, al nome di Cristo e di Maria, Ordino e voglio che nel popol sia". A man levata il popol dicea, "Sí". E le rosse giovenche di su 'l prato Vedean passare il piccolo senato, Brillando su gli abeti il mezzodí.

carducci, il comune rustico in rime nuove,

Surge nel chiaro inverno la fosca turrita 1 Bologna, e il colle sopra bianco di neve ride. È l'ora soave che il sol morituro 2 saluta le torri e 'l tempio, divo Petronio 3, tuo; le torri i cui merli tant'ala di secolo lambe 4, e del solenne tempio la solitaria cima. Il cielo in freddo fulgore adamàntino 5 brilla; e l'aër come velo d'argento giace su 'l fòro 6, lieve sfumando a torno le moli 7 che levò cupe il braccio clipeato 8 de gli avi. Su gli alti fastigi s'indugia il sole guardando con un sorriso languido di vïola, che ne la bigia pietra nel fósco vermiglio mattone par che risvegli l'anima de i secoli, e un desio mesto 9 pe 'l rigido aëre sveglia di rossi maggi, di calde aulenti sere, quando le donne gentili danzavano in piazza e co' i re vinti 10 i consoli tornavano. Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema un desiderio vano de la bellezza antica.

carducci, nella piazza di san petronio in odi barbare

Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinereo: gridi, suoni di vita più non salgono da la città, non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro, non d'amor la canzon ilare e di gioventù. Da la torre di piazza roche per l'aere le ore gemon, come sospir d'un mondo lungi dal dì. Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati: gli amici spiriti reduci son, guardano e chiamano a me. In breve, o cari, in breve - tu càlmati, indomito cuore - giù al silenzio verrò, ne l'ombra riposerò.

carducci, nevicata in odi barbare, presagio di morte 1881

L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da' bei vermigli fior, nel muto orto solingo rinverdì tutto or ora, e giugno lo ristora di luce e di calor. Tu fior de la mia pianta percossa e inaridita ,tu de l'inutil vita estremo unico fior, sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra né il sol più ti rallegra né ti risveglia amor.

carducci, pianto antico in rime nuove

Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta? II Le mie tristezze sono povere tristezze comuni. Le mie gioie furono semplici, semplici così, che se io dovessi confessarle a tearrossirei. Oggi io penso a morire. III Io voglio morire, solamente, perché sono stanco; solamente perché i grandi angioli su le vetrate delle catedrali mi fanno tremare d'amore e di angoscia; solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico.

corazzino desolazione del povero poeta sentimentale in piccolo libro inutile, crepuscolare

O deserta bellezza di Ferrara, ti loderò come si loda il voltodi colei che sul nostro cuor s'inclina per aver pace di sue felicità lontane; e loderò la chiara sfera d'aere ed'acque ove si chiude la mia malinconia divina musicalmente. E loderò quella che più mi piacquepiù delle altre delle donne morte e il tenue riso ond'ella mi delude e l'alta immagine ond'io mi consolo nella mia mente. Loderò i tuoi chiostri ove tacque l'uman dolore avvolto nelle lane placide e cantò l'usignolo ebro furente. Loderò le tue vie piane, grandi come fiumane, che conducono all'infinito, chi va solo col suo pensiero ardente, e quel loro silenzio ove stanno in ascolto e quel loro silenzio con le porte che sembrano voler ascoltare tutte le porte se il fabro occulo batte su l'incude, e il sogno di voluttà che sta sepolto sotto le pietre nude con la tua sorte.

d'annunzio ferrara nelle laudi Elettra

Un falco stride nel color di perla: tutto il cielo si squarcia come un velo. O brivido su i mari taciturni, o soffio, indizio del súbito nembo! O sangue mio come i mari d'estate! La forza annoda tutte le radici: sotto la terra sta, nascosta e immensa. La pietra brilla più d'ogni altra inerzia. La luce copre abissi di silenzio, simile ad occhio immobile che celi moltitudini folli di desiri. L'Ignoto viene a me, l'Ignoto attendo! Quel che mi fu da presso, ecco, è lontano. Quel che vivo mi parve, ecco, ora è spento. T'amo, o tagliente pietra che su l'erta brilli pronta a ferire il nudo piede. Mia dira sete, tu mi sei più cara che tutte le dolci acque dei ruscelli. Abita nella mia selvaggia pace la febbre come dentro le paludi. Pieno di grida è il riposato petto. L'ora è giunta, o mia Mèsse, l'ora è giunta! Terribile nel cuore del meriggio pesa, o Mèsse, la tua maturità.

d'annunzio furit aestus nelle lauri Alcyone, titolo ricavato da virgilio, qui significa vampa calura. panismo e velleitarismo

Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all'Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d'acqua natia rimanga ne' cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d'avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh'esso il litoral cammina La greggia. Senza mutamento è l'aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci romori. Ah perché non son io cò miei pastori?

d'annunzio i pastori nelle lauri alcione nei sogni di terre lontane.

Su la docile sabbia il vento scrive con le penne dell'ala; e in sua favella parlano i segni per le bianche rive. Ma, quando il sol declina, d'ogni nota ombra lene si crea, d'ogni ondicella, quasi di ciglia su soave gota. E par che nell'immenso arido viso della pioggia s'immilli il tuo sorriso.

d'annunzio il vento scrive nelle lauri alcione nei madrigali d'estate. molti dantismo come citazioni intellettuali

Fresche le mie parole ne la sera ti sien come il fruscío che fan le foglie del gelso ne la man di chi le coglie silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta su l'alta scala che s'annera contro il fusto che s'inargenta con le sue rame spoglie mentre la Luna è prossima a le soglie cerule e par che innanzi a sé distenda un velo ove il nostro sogno si giace e par che la campagna già si senta da lei sommersa nel notturno gelo e da lei beva la sperata pace senza vederla. Laudata sii pel tuo viso di perla, o Sera, e pè tuoi grandi umidi occhi ove si tace l'acqua del cielo! Dolci le mie parole ne la sera ti sien come la pioggia che bruiva tepida e fuggitiva, commiato lacrimoso de la primavera, su i gelsi e su gli olmi e su le viti e su i pini dai novelli rosei diti che giocano con l'aura che si perde, e su 'l grano che non è biondo ancóra e non è verde, e su 'l fieno che già patì la falce e trascolora, e su gli olivi, su i fratelli olivi che fan di santità pallidi i clivi e sorridenti. Laudata sii per le tue vesti aulenti, o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce il fien che odora! Io ti dirò verso quali reami d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti eterne e l'ombra de gli antichi rami parlano nel mistero sacro dei monti; e ti dirò per qual segreto le colline su i limpidi orizzonti s'incúrvino come labbra che un divieto chiuda, e perché la volontà di dire le faccia belle oltre ogni uman desire e nel silenzio lor sempre novelle consolatrici, sì che pare che ogni sera l'anima le possa amare d'amor più forte. Laudata sii per la tua pura morte o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare le prime stelle!

d'annunzio la sera fiesolana nelle lauri Alcyone, musicalità = l'arte ricrea un effetto maggiore della natura

O Marina di Pisa, quando folgora il solleone! Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani d'Arno a tenzone. Come l'Estate porta l'oro in bocca, l'Arno porta il silenzio alla sua foce. Tutto il mattino per la dolce landa quinci è un cantare e quindi altro cantare; tace l'acqua tra l'una e l'altra voce. E l'Estate or si china da una banda or dall'altra si piega ad ascoltare. E' lento il fiume, il naviglio è veloce. La riva è pura come una ghirlanda. Tu ridi tuttavia cò raggi in bocca, come l'Estate a me, come l'Estate! Sopra di noi sono le vele bianche sopra di noi le vele immacolate. Il vento che le tocca tocca anche le tue palpebre un po' stanche, tocca anche le tue vene delicate; e un divino sopor ti persuade, fresco ne' cigli tuoi come rugiade in erbe all'albeggiare. S'inazzurra il tuo sangue come il mare. L'anima tua di pace s'inghirlanda. L'Arno porta il silenzio alla sua foce come l'Estate porta l'oro in bocca. Stormi d'augelli varcano la foce, poi tutte l'ali bagnano nel mare! Ogni passato mal nell'oblio cade. S'estingue ogni desio vano e feroce. Quel che ieri mi nocque, or non mi nuoce; quello che mi toccò, più non mi tocca. E' paga nel mio cuore ogni dimanda, come l'acqua tra l'una e l'altra voce. Così discendo al mare; così veleggio. E per la dolce landa quinci è un cantare e quindi altro cantare. Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani d'Arno a tenzone.

d'annunzio la tenzone nelle lauri Alcione. dedicata ad eleonora duse, momento catartico

i miei carmi son prole delle foreste, altri dell'onde, altri delle arene, altri del Sole, altri del vento Argeste. Le mie parole sono profonde come le radici terrene, altre serene come i firmamenti, fervide come le vene degli adolescenti, ispide come i dumi, confuse come i fumi confusi, nette come i cristalli del monte, tremule come le fronde del pioppo, tumide come le narici dei cavalli a galoppo, labili come i profumi diffusi, vergini come i calici appena schiusi, notturne come le rugiade dei cieli, funebri come gli asfodeli dell'Ade, pieghevoli come i salici dello stagno, tenui come i teli che fra due steli tesse il ragno.

d'annunzio le stirpi canore nelle lauri alcione. poesia a cascata, dal macroscopico al microscopico

grazia del ciel, come soavemente ti miri ne la terra abbeverata, anima fatta bella dal suo pianto! O in mille e mille specchi sorridente grazia, che da la nuvola sei nata come la voluttà nasce dal pianto, musica nel mio canto ora t'effondi, che non è fugace, per me trasfigurata in alta pace a chi l'ascolti. Nascente Luna, in cielo esigua come il sopracciglio de la giovinetta e la midolla de la nova canna, sì che il più lieve ramo ti nasconde e l'occhio mio, se ti smarrisce, a pena ti ritrova, pe'l sogno che l'appanna, Luna, il rio che s'avvalla senza parola erboso anche ti vide; e per ogni fil d'erba ti sorride, solo a te sola. O nere e bianche rondini, tra notte e alba, tra vespro e notte, o bianche e nere ospiti lungo l'Affrico notturno! Volan elle sì basso che la molle erba sfioran coi petti, e dal piacere il loro volo sembra fatto azzurro. Sopra non ha susurro l'arbore grande, se ben trema sempre. Non tesse il volo intorno a le mie tempie fresche ghirlande? E non promette ogni lor breve grido un ben che forse il cuore ignora e forse indovina se udendo ne trasale? S'attardan quasi immemori del nido, e sul margine dove son trascorse par si prolunghi il fremito dell'ale. Tutta la terra pare argilla offerta all'opera d'amore, un nunzio il grido, e il vespero che muore un'alba certa.

d'annunzio lungo l'Affrico nelle lauri alcyone, poeta come vate

a mezzo il giorno sul Mare etrusco pallido verdicant ecome il dissepolto bronzo dagli ipogei, grava la bonaccia. Non bava di vento intorno alita. Non trema canna su la solitaria spiaggia aspra di rusco, di ginepri arsi. Non suona voce, se ascolto. Riga di vele in panna verso Livorno biancica. Pel chiaro silenzio il Capo Corvo l'isola del Faro scorgo; e più lontane, forme d'aria nell'aria, l'isole del tuo sdegno, o padre Dante, la Capraia e la Gorgona. Marmorea corona di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte. La foce è come salso stagno. Del marin colore, per mezzo alle capanne, per entro alle reti che pendono dalla croce degli staggi, si tace. Come il bronzo sepolcrale pallida verdica in pace quella che sorridea. Quasi letèa, obliviosa, eguale, segno non mostra di corrente, non ruga d'aura. La fuga delle due rive si chiude come in un cerchio di canne, che circonscrive l'oblìo silente; e le canne non han susurri. Più foschi i boschi di San Rossore fan di sé cupa chiostra; ma i più lontani, verso il Gombo, verso il Serchio, son quasi azzurri. Dormono i Monti Pisani coperti da inerti cumuli di vapore. Bonaccia, calura, per ovunque silenzio. L'Estate si matura sul mio capo come un pomo che promesso mi sia, che cogliere io debba con la mia mano, che suggere io debba con le mie labbra solo. Perduta è ogni traccia dell'uomo. Voce non suona, se ascolto. Ogni duolo umano m'abbandona. Non ho più nome. E sento che il mio volto s'indora dell'oro meridiano, e che la mia bionda barba riluce come la paglia marina; sento che il lido rigato con sì delicato lavoro dall'onda e dal vento è come il mio palato, è come il cavo della mia mano ove il tatto s'affina

d'annunzio meriggio nelle lauri Alcione. apoteosi del superomismo

Nella belletta i giunchi hanno l'odore delle persiche mézze e delle rose passe, del miele guasto e della morte. Or tutta la palude è come un fiore lutulento che il sol d'agosto cuoce, con non so che dolcigna afa di morte. Ammutisce la rana, se m'appresso. Le bolle d'aria salgono in silenzio.

d'annunzio nella belletta nelle laudi Alcione

Non pianger più. Torna il diletto figlio a la tua casa. È stanco di mentire. Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire. Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio. Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato serba ancóra per noi qualche sentiero. Ti dirò come sia dolce il mistero che vela certe cose del passato. Ancóra qualche rose è ne' rosai, ancóra qualche timida erba odora. Ne l'abbandono il caro luogo ancóra sorriderà, se tu sorriderai. Ti dirò come sia dolce il sorriso di certe cose che l'oblìo afflisse. Che proveresti tu se fiorisse la terra sotto i piedi, all'improvviso? Tanto accadrà, ben che non sia d'aprile. Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento sol di settembre; e ancor non vedo argento su 'l tuo capo, e la riga è ancor sottile. Perché ti neghi con lo sguardo stanco? La madre fa quel che il buon figlio vuole. Bisogna che tu prenda un po' di sole, un po' di sole su quel viso bianco. Bisogna che tu sia forte; bisogna che tu non pensi a le cattive cose... Se noi andiamo verso quelle rose, io parlo piano, l'anima tua sogna. Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto, tutto sarà come al tempo lontano. Io metterò ne la tua pura mano tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto. Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita. In una vita semplice e profonda io rivivrò. La lieve ostia che monda io la riceverò da le tue dita. Sogna, ché il tempo di sognare è giunto. Io parlo. Di': l'anima tua m'intende? Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende quasi il fantasma d'un april defunto.

d'annunzio, consolazione in poema paradisiaco 1892, bisogno di contatto fisico e ricerca della madre

taci. sulle soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane

d'annunzio, la pioggia nel pineto nelle lauri alcione. musicalità al centro c'è la parla metamorfosi del superuomo. elemento erotico

dobbiamo chiedere scusa al pubblico per questo libro che gli offriamo e avvertirlo di quanto vi troverà

fratelli concourt, prefazione a germini lacerteux

Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto, mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo, pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori sovente qualcuno che picchia, che picchia... Sono i dottori. Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni, m'auscultano con gli ordegni il petto davanti e di dietro. E sentono chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo? Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli.. «Appena un lieve sussulto all'apice... qui... la clavicola...» E con la matita ridicola disegnano un circolo azzurro. «Nutrirsi... non fare più versi... nessuna notte più insonne... non più sigarette... non donne... tentare bei cieli più tersi: Nervi... Rapallo... San Remo... cacciare la malinconia; e se permette faremo qualche radioscopia...»

gozzano alle soglie nei colloqui, doppi novenari a rima AA BB etc, univerbazione tipica di gozzano, malizia nell'usare termini specifici

"...cri...i...i...i...icch"... l'incrinatura il ghiaccio rabescò, stridula e viva. "A riva!" Ognuno guadagnò la riva disertando la crosta malsicura. "A riva! A riva!..." un soffio di paura disperse la brigata fuggitiva "Resta!" Ella chiuse il mio braccio conserto, le sue dita intrecciò, vivi legami, alle mie dita. "Resta, se tu m'ami!" E sullo specchio subdolo e deserto soli restammo, in largo volo aperto, ebbri d'immensità, sordi ai richiami. Fatto lieve così come uno spetro, senza passato più, senza ricordo, m'abbandonai con lei nel folle accordo, di larghe rote disegnando il vetro. Dall'orlo il ghiaccio fece cricch, più tetro... dall'orlo il ghiaccio fece cricch, più sordo... ...

gozzano invernale dai colloqui, ricerca gesto estetico

Signorina Felicita, a quest'ora scende la sera nel giardino antico della tua casa. Nel mio cuore amico scende il ricordo. E ti rivedo ancora, e Ivrea rivedo e la cerulea Dora e quel dolce paese che non dico. Signorina Felicita, è il tuo giorno! A quest'ora che fai? Tosti il caffè: e il buon aroma si diffonde intorno? O cuci i lini e canti e pensi a me, all'avvocato che non fa ritorno? E l'avvocato è qui: che pensa a te. ...

gozzano la signorina felicita ovvero la felicità in colloqui, (piemonte), crepuscolantismo, scetticismo di lei, ricerca la perdita dell'identità, cozzare dell'aulico con il prosaico, alla fine si accorge che si tratta di un sogno.

col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei balconi secentisti guarniti di verzura, la villa sembra tolta da certi versi miei, sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura... Pensa migliori giorni la villa triste, pensa gaie brigate sotto gli alberi centenari, banchetti illustri nella sala da pranzo immensa e danze nel salone spoglio da gli antiquari. Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo, Casa Rattazzi, Casa d'Azeglio, Casa Oddone, s'arresta un automobile fremendo e sobbalzando, villosi forestieri picchiano la gorgòne. S'ode un latrato e un passo, si schiude cautamente la porta... In quel silenzio di chiostro e di caserma vive Totò Merùmeni con una madre inferma, una prozia canuta ed uno zio demente. ...

gozzano toto merumeni in i colloqui, riprende la commedia di terenzio, degenerazione del superuomo dannunziano

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, ospite della mia sorella sposa, sposa da sei, da sette mesi appena. Batte la pioggia il grigio borgo, lava la faccia della casa senza posa, schiuma a piè delle gronde come bava. Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse triste è per te la pioggia cittadina, il nuovo amore che non ti soccorse,

moretti a cesena in il giardino dei frutti,

Son luce ed ombra; angelica farfalla o verme immondo sono un caduto cherubo dannato a errar sul mondo, o un demone che sale, affaticando l'ale, verso un lontano ciel. Ecco perché nell'intime cogitazioni io sento la bestemmia dell'angelo che irride al suo tormento, o l'umile orazione dell'esule dimone che riede a Dio, fedel. Ecco perché m'affascina l'ebbrezza di due canti, ecco perché mi lacera l'angoscia di due pianti, ecco perché il sorriso che mi contorce il viso o che m'allarga il cuor. Ecco perché la torbida ridda de' miei pensieri, or mansueti e rosei, or violenti e neri; ecco perché con tetro tedio, avvincendo il metro de' carmi animator. O creature fragili dal genio onnipossente! Forse noi siamo l'homunculus d' un chimico demente, forse di fango e foco per ozioso gioco un buio Iddio ci fe'. E ci scagliò sull'umida gleba che c'incatena, poi dal suo ciel guatandoci rise alla pazza scena e un dì a distrar la noia della sua lunga gioia ci schiaccerà col pie'. E noi viviam, famelci di fede o d'altri inganni, rigirando il rosario monotono degli anni, dove ogni gemma brilla di pianto, acerba stilla fatta d'acerbo duol. Talor, se sono il demone redento che s'india, sento dall'alma effondersi una speranza pia e sul mio buio viso del gaio paradiso mi fulgureggia il sol. L'illusion-libellula che bacia i fiorellini, -l'illusion-scoiattolo che danza in cima i pini, -l'illusion-fanciulla che trama e si trastulla colle fibre del cor, viene ancora a sorridermi nei dì più mesti e soli e mi sospinge l'anima ai canti, ai carmi, ai voli; e a turbinar m'attira nella profonda spira dell'estro ideator. E sogno un'Arte eterea che forse in cielo ha norma, franca dai rudi vincoli del metro e della forma, piena dell'Ideale che mi fa batter l'ale e che seguir non so. Ma poi, se avvien che l'angelo fiaccato si ridesti, i santi sogni fuggono impauriti e mesti; allor, davanti al raggio del mutato miraggio, quasi rapito, sto: e sogno allor la magica Circe col suo corteo d'alci e di pardi, attoniti nel loro incanto reo. E il cielo, altezza impervia, derido e di protervia mi pasco e di velen. E sogno un'Arte reproba che smaga il mio pensiero dietro le basse immagini d'un ver che mente al Vero e in aspro carme immerso sulle mie labbra il verso bestemmiando vien. Questa è la vita! L'ebete vita che c'innamora, lenta che pare un secolo, breve che pare un'ora; un agitarsi alterno fra paradiso e inferno che non s'accheta più! Come istrion, su cupida plebe di rischio ingorda, fa pompa d'equilibrio sovra una tesa corda, tal è l'uman, librato fra un sogno di peccato e un sogno di virtù.

obito, dualismo in il libro dei versi, didascalico rispetto a baudelaire

Tri tri tri, fru fru fru, ihu ihu ihu, uhi uhi uhi. Il poeta si diverte, pazzamente, smisuratamente -! Non lo state a insolentire, lasciatelo divertire poveretto, queste piccole corbellerie sono il suo diletto ...

palazzeschi e lasciatemi divertire! in l'incendiario

San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena de' suoi rondinini. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono... Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male!

pascoli X agosto in myricae, il simobolismo è esplicito

— Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla! Non altra terra se non là, nell'aria, quella che in mezzo del brocchier vi brilla, o Pezetèri: errante e solitaria terra, inaccessa. Dall'ultima sponda vedete là, mistofori di Caria, l'ultimo fiume Oceano senz'onda. O venuti dall'Haemo e dal Carmelo, ecco, la terra sfuma e si profonda dentro la notte fulgida del cielo. II Fiumane che passai! voi la foresta immota nella chiara acqua portate, portate il cupo mormorìo, che resta. Montagne che varcai! dopo varcate, sì grande spazio di su voi non pare, che maggior prima non lo invidïate. Azzurri, come il cielo, come il mare, o monti! o fiumi! era miglior pensiero ristare, non guardare oltre, sognare: il sogno è l'infinita ombra del Vero.

pascoli alexandros in poemi conviviali, sogno migliore della realtà

Al campo, dove roggio nel filare qualche pampano brilla, e dalle fratte sembra la nebbia mattinal fumare, arano: a lente grida, uno le lente vacche spinge; altri semina; un ribatte le porche con sua marra pazïente; chè il passero saputo in cor già gode, e il tutto spia dai rami irti del moro; e il pettirosso: nelle siepi s'ode il suo sottil tintinno come d'oro.

pascoli arano in myricae, lotta dell'uomo contro la natura

E il mare azzurro che l'amò, più oltre spinse Odisseo, per nove giorni e notti, e lo sospinse all'isola lontana, alla spelonca, cui fioriva all'orlo carica d'uve la pampinea vite. E fosca intorno le crescea la selva d'ontani e d'odoriferi cipressi; e falchi e gufi e garrule cornacchie v'aveano il nido. E non dei vivi alcuno, nè dio nè uomo, vi poneva il piede. Or tra le foglie della selva i falchi battean le rumorose ale, e dai buchi soffiavano, dei vecchi alberi, i gufi, e dai rami le garrule cornacchie garrian di cosa che avvenia nel mare. Ed ella che tessea dentro cantando, presso la vampa d'olezzante cedro, stupì, frastuono udendo nella selva, e in cuore disse: Ahimè, ch'udii la voce delle cornacchie e il rifiatar dei gufi! E tra le dense foglie aliano i falchi. Non forse hanno veduto a fior dell'onda un qualche dio, che come un grande smergo viene sui gorghi sterili del mare? O muove già senz'orma come il vento, sui prati molli di viola e d'appio? Ma mi sia lungi dall'orecchio il detto! In odio hanno gli dei la solitaria Nasconditrice. E ben lo so, da quando l'uomo che amavo, rimandai sul mare al suo dolore. O che vedete, o gufi dagli occhi tondi, e garrule cornacchie? ...

pascoli calypso in l'ultimo viaggio

Posa il meriggio sulla prateria. Non ala orma ombra nell'azzurro e verde. Un fumo al sole biancica; via via fila e si perde. Ho nell'orecchio un turbinìo di squilli, forse campani di lontana mandra: e, tra l'azzurro penduli, gli strilli della calandra.

pascoli dall'argine in myricae, smarrimento ma possibilità forse di ritrovarsi

Siedono. L'una guarda l'altra. L'una esile e bionda, semplice di vesti e di sguardi; ma l'altra, esile e bruna, l'altra... I due occhi semplici e modesti fissano gli altri due ch'ardono. «E mai non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti più?» «Non più, cara.» «Io sì: ci ritornai; e le rividi le mie bianche suore, e li rivissi i dolci anni che sai; quei piccoli anni così dolci al cuore...» L'altra sorrise. «E di': non lo ricordi quell'orto chiuso? i rovi con le more? i ginepri tra cui zirlano i tordi? i bussi amari? quel segreto canto misterioso, con quel fiore, fior di...?» «morte: sì, cara». «Ed era vero? Tanto io ci credeva che non mai, Rachele, sarei passata al triste fiore accanto. Ché si diceva: il fiore ha come un miele che inebria l'aria; un suo vapor che bagna l'anima d'un oblìo dolce e crudele. Oh! quel convento in mezzo alla montagna cerulea!» Maria parla: una mano posa su quella della sua compagna; e l'una e l'altra guardano lontano.

pascoli digitale purpurea nei poemetti,

E s'aprono i fiori notturni ,nell'ora che penso ai miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i nidi, come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse. Un'ape tardiva sussurra trovando già prese le celle. La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolio di stelle. Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s'è spento... È l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta, non so che felicità nuova.

pascoli il gelsomino notturno in canti di castelvecchio, voyerismo infantile

E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d'un tratto; come un occhio, che, largo, esterrefatto, s'aprì si chiuse, nella notte nera.

pascoli il lampo in myricae, lampo=fucilata che uccise suo padre. la casa è sempre simbolo di stabilità

Un bubbolìo lontano... Rosseggia l'orizzonte, come affocato, a mare: nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un'ala di gabbiano.

pascoli il temporale in myricae, analogico (1 solo verbo) i : vogliono dire da generale a particolare

Non ti ricordi più, dunque, i mattini meravigliosi? Nuvole a' nostri occhi, rosee di peschi, bianche di susini, parvero: un'aria pendula di fiocchi, o bianchi o rosa, o l'uno e l'altro: meli, floridi peri, gracili albicocchi. Tale quell'orto ci apparì tra i veli del nostro pianto, e tenne in sè riflessa per giorni un'improvvisa alba dei cieli. Era, sai, la speranza e la promessa, quella; ma l'ape da' suoi bugni uscita pasceva già l'illusïone; ond'essa fa, come io faccio, il miele di sua vita. ....

pascoli il vischio in poemetti, decadentismo e la natura, riassunto propria poetica cioè malata

Salivano, ora tutti dietro il nonno, la scala rotta. Il vecchio Lupo in basso non abbaiò; scodinzolò tra il sonno. E tentennò sotto il lor piede il sasso d'avanti l'uscio. C'era sempre stato presso la soglia, per aiuto al passo. E l'uscio, come sempre, era accallato. Lì dentro, buio come a chiuder gli occhi. Ed era buia la cucina allato. La mamma? Forse scesa per due ciocchi... forse in capanna a mòlgere... No, era al focolare sopra i due ginocchi. Avea pulito greppia e rastrelliera; ora, accendeva... Udì sonare fioco: era in ginocchio, disse la preghiera. Appariva nel buio a poco a poco. "Mamma, perché non v'accendete il lume? Mamma, perché non v'accendete il fuoco?" "Gesù! Ché ho fatto tardi col rosume..." E negli stecchi ella soffò, mezzo arsi; e le sue rughe apparvero al barlume. E raccattava, senza ancor voltarsi, tutta sgomenta, avanti a sé, la mamma, brocche, fuscelli, canapugli, sparsi sul focolare. E si levò la fiamma. ...

pascoli italy in poemetti,

C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,anzi d'antico: io vivo altrove, e sentoche sono intorno nate le viole. Son nate nella selva del conventodei cappuccini, tra le morte foglieche al ceppo delle quercie agita il vento. Si respira una dolce aria che sciogliele dure zolle, e visita le chiesedi campagna, ch'erbose hanno le soglie: un'aria d'altro luogo e d'altro mesee d'altra vita: un'aria celestinache regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni! È questa una mattinache non c'è scuola. Siamo usciti a schieratra le siepi di rovo e d'albaspina.

pascoli l'aquilone nei poemetti, ritorno all' infanzia

Dov'era la luna ? Ché il cielo notava in un'alba di perla , ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù: veniva una voce dai campi: chiù ... Le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte: sentivo il cullare del mare, sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo nel cuore un sussulto, com'eco d'un grido che fu . Sonava lontano il singulto: chiù... Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento; squassavano le cavallette finissimi sistri d'argento (tintinni a invisibili porte che forse non s'aprono più?... ); e c'era quel pianto di morte... chiù...

pascoli l'assiuolo in mirica, autonomia del significante, anafora

Al mio cantuccio, donde non sento se non le reste brusir del grano, il suon dell'ore viene col vento dal non veduto borgo montano: suono che uguale, che blando cade, come una voce che persuade. Tu dici, E' l'ora; tu dici, E' tardi, voce che cadi blanda dal cielo. Ma un poco ancora lascia che guardi l'albero, il ragno, l'ape, lo stelo, cose ch'han molti secoli o un anno o un'ora, e quelle nubi che vanno. Lasciamo immoto qui rimanere fra tanto moto d'ale e di fronde; e udire il gallo che da un podere chiama, e da un altro l'altro risponde, e, quando altrove l'anima è fissa, gli strilli d'una cincia che rissa. ...

pascoli l'ora di Barga in canti di castelvecchio, accetta il presente senza rimuovere il passato

Mi parve d'udir nella siepe la sveglia d'un querulo implume. Un attimo... Intesi lo strepere cupo del fiume. Mi parve di scorgere un mare dorato di tremule messi. Un battito... Vidi un filare di neri cipressi. Mi parve di fendere il pianto d'un lungo corteo di dolore. Un palpito... M'erano accanto le nozze e l'amore. dlin... dlin... ...

pascoli la bicicletta nei canti di castelvecchio, le cose piccole e semplici permettono la fuga dal mondo esterno di tristezza e morte

Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto. I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa: "O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto; il primo d'otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non toccò mai briglie. ...

pascoli la cavalla storna in canti di castelvecchio, famiglia, assassinio del padre

Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell'umida sera. È, quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera. ...

pascoli la mia sera nei canti di castelvecchio, il poeta ritrova conforto nella famiglia

Da me!.. Non quando m'avviai trepido, c'era una madre che nel mio zaino ponesse due pani per il solitario domani. Per me non c'era bacio nè lagrima, nè caro capo chino su l'omero a lungo, nè voce pregante, nè segno di croce. Non c'eri! E niuno vide che lacero fuggivo gli occhi prossimi, subito, o madre, accorato che niuno m'avesse guardato. Da me, da solo, solo e famelico, per l'erta mossi rompendo ai triboli i piedi e la mano, piangendo, sì, forse, ma piano: piangendo quando copriva il turbine con il suo pianto grande il mio piccolo, e quando il mio lutto spariva nell'ombra del Tutto.

pascoli la picozza in odi e inni, sistema tetrastico, forse critica al poeta vate, soggettività esasperata (perde il contatto con il pubblico), attrazione morbosa per la morte, natura decadente, perde il rapporto soggetto-oggetto

Io sono una lampada ch'arda soave! la lampada, forse, che guarda, pendendo alla fumida trave, la veglia che fila; e ascolta novelle e ragioni da bocche celate nell'ombra, ai cantoni, là dietro le soffici rócche che albeggiano in fila: ragioni, novelle, e saluti d'amore, all'orecchio, confusi: gli assidui bisbigli perduti nel sibilo assiduo dei fusi; le vecchie parole sentite da presso con palpiti nuovi, tra il sordo rimastico mite dei bovi:

pascoli la poesia in canti di castelvecchio, speranza

Siepe del mio campetto, utile e pia, che al campo sei come l'anello al dito, che dice mia la donna che fu mia (ch'io pur ti sono florido marito, o bruna terra ubbidïente, che ami chi ti piagò col vomero brunito...); siepe che il passo chiudi co' tuoi rami irsuti al ladro dormi 'l-dì; ma dài ricetto ai nidi e pascolo a gli sciami; siepe che rinforzai, che ripiantai, quando crebbe famiglia, a mano a mano, più lieto sempre e non più ricco mai; d'albaspina, marruche e melograno, tra cui la madreselva odorerà; io per te vivo libero e sovrano, verde muraglia della mia città. ...

pascoli la siepe in poemetti, famiglia di contadini di Barga tema della famiglia-nido-protezione

Si racconta di un fanciullo che aveva perduto il senso della gravità... Uomini, se in voi guardo, il mio spavento cresce nel cuore. Io senza voce e moto voi vedo immersi nell'eterno vento; voi vedo, fermi i brevi piedi al loto, ai sassi, all'erbe dell'aerea terra, abbandonarvi e pender giù nel vuoto. Oh! voi non siete il bosco, che s'afferra con le radici, e non si getta in aria se d'altrettanto non va su, sotterra! Oh! voi non siete il mare, cui contraria regge una forza, un soffio che s'effonde, laggiù, dal cielo, e che giammai non varia. Eternamente il mar selvaggio l'onde protende al cupo; e un alito incessante piano al suo rauco rantolar risponde. ...

pascoli la vertigine nei poemetti, stimolato dal progresso che non da pero certezze

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi, che pare dimenticato, tra il vapor leggero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! quando partisti, come son rimasta! come l'aratro in mezzo alla maggese

pascoli lavandare in myricae, bozzetto naturalistico

Gèmmea l'aria, il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore... Ma secco è il pruno, e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno, e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno. Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. È l'estate, fredda, dei morti.

pascoli novembre in mirycae, anche se la natura offre uno spunto di positività l'uomo non può percepire perché e ostacolato da un "oscuro tumulto"

Tum tum... tum tum... Ell'era stata in chiesa a pregar sola, a dir la sua corona sotto la sola lampadina accesa. Avea chiesto perdono a chi perdona tutto, di nulla; simile ad ancella ch'ha gli occhi in mano della sua padrona; a una che su l'uscio di sorella ricca, socchiuso, prega piano, a volo; ch'altri non oda. Era tornata in cella. E ora avanti il Cristo morto solo, avanti l'agonia di Santa Rita, si toglieva il suo velo, il suo soggólo. Il cingolo a tre nodi dalla vita poi si scioglieva: un giallo teschio d'osso girò tre volte nelle ceree dita. Tum tum... ― Chi picchia? Si rimise in dosso lo scapolare. Forse alla parete dell'altra stanza. L'uscio non s'è mosso.

pascoli suor virginia in poemetti,

Tra cielo e mare (un rigo di carmino recide intorno l'acque marezzate) parlano. È un'alba cerula d'estate: non una randa in tutto quel turchino. Pur voci reca il soffio del garbino con ozïose e tremule risate. Sono i puffini: su le mute ondate pende quel chiacchiericcio mattutino .Sembra un vociare, per la calma, fioco, di marinai, ch'ad ora ad ora giunga tra 'l fievole sciacquìo della risacca; quando, stagliate dentro l'oro e il fuoco, le paranzelle in una riga lunga dondolano sul mar liscio di lacca.

pascoli, i puffini dell'adriatico in myricae, sonetto, autonomia del significante, fonosimbolismo, linguaggio pre e post grammaticale

Addio, bosco di frassini ombrosi, ondeggianti campagne di biade! del villaggio tranquille contrade dove giuocano i bimbi al mattin. Addio, pace de' campi pensosi, solitarie abitudini, addio; l'operaio sul verde pendìo già distende il ferrato cammin. Passerà nell'antico convento, sulle fosse dei monaci estinti; se all'inferno non giacciono avvinti lo sa Iddio che stupor li corrà! Dove il cantico, inutile, lento, si perdea per la pinta navata, volerà, dal suo genio portata, via, fischiando, la scettica età. Che terrori nel nido latente degli ignari augelletti quel giorno! Da tugurio a capanna d'intorno che susurro, che ciancie, quel dì! Che dirà questa povera gente, cui repente - il miracolo appare ? Vecchierelli, aspettate a spirare quando giunta la strada sia qui. Che diran gli infelici cui preme la tremenda miseria del pane? E cui nulla concede il dimane, nella vita, che affanni e sudor? Quando accanto all'aratro, che geme lentamente nei solchi girando, scorrerà, quasi ai pigri insultando, l'uragano del nostro vapor? Ahi l'aratro, il congegno diletto, che diventa al confronto fatale? Veh! Coll'oro si fabbrican l'ale! Veh, se i ricchi le sanno pensar! E, tornando al miserrimo tetto, scorderan per quel dì la canzone, e nei sogni la strana visione tornerà nuovi enigmi a fischiar. Ma le vispe fanciulle dei campi, che cullato ancor bimbi non hanno, e ancor tutti gli stenti non sanno che si sposano ai cenci quaggiù; ma i garzoni che guardano i lampi quando tuona, con ciglia inarcate, ma le donne, filando invecchiate, cinto il cuore di arcigne virtù, che clamori faran sulla via, quando giunge il convoglio solenne; chi dirà di vedervi le penne, chi Satàna a tirarlo con sé; e del fumo, che lento si svia mentre lungi già il treno è trascorso, seguiran quasi estatici il corso brontolando : « No, fumo non è!». Ma i più furbi bisbigliano invece « Sì, che è fumo, e ai vigneti fatale: la campagna di un soffio letale può colpir tutta vasta quant'è. Ah il Signor queste cose non fece; no, per me, non ci vado in vapore. Chi compar! L'asinello è migliore; questo almeno il Signor ce lo die'». Razza mesta, alle celie bersaglio della plebe, cui sopra tu stai, sul mio volto quel dì non vedrai insolente il sorriso spuntar. Ma deposto il mio caro bagaglio io verrò ne' tuoi crocchi festivi, non più in traccia di baci furtivi, ma coi maschi da senno a parlar. E dirò: « Questo fischio fugace gira il mondo e affratella le genti, rispondetegli intorno plaudenti, cospergete il gran carro di fior. Esso è l'arca novella di pace, che i futuri destini rinserra, non più stragi di popoli in guerra, non più schiavi di avaro lavor! Voleran da villaggio a cittade nuovi patti: cultore e artigiano stesa ai ricchi la nòbile mano insiem l'almo edificio alzeran. E tesoro di nuove rugiade l'umil scienza anche ai cenci concessa, vi dirà, benché in veste dimessa, sante cose, che i preti non san. Vi dirà che gli è sacro al paese il sudore dei volti onorati, come sacro è il valor dei soldati, come sacra è la mente del Re. Che non siete più mandre indifese, voi famiglie dei solchi dìlette, ma dal vostro vessillo protette, ma da legge che ingiusta non è. * * * O Musa mia, perdonami se ti ho costretta a far da moralista! Ma sai quanto mi strazii dei miseri la vista! E poiché sì cattolico e stecchito promette poco il parroco del sito, Musa, a quel primo fischio bravi sarem, se andremo in compagnia nella turba dei poveri, sparsi lungo la via, a seminar qualche parola onesta: la mission sacrosanta, o Musa, è questa! Ma poi pagato l'obolo, chi niegherà, mia cara, al tuo pittore di spiegar l'ali a sciogliere l'inno del suo dolore? Deh guarda che monotona pianura! Ve' in che forma han conciata la natura! Il mio convento gotico sparve, e die' passo a un muricciuola bianco che dritto e ugual due miglia va della selva al fianco. Un ridotto di terra alzò la fronte, e questo è il nostro fulgido orizzonte. Dimmi, in che selve vergini anderemo a studiar, Musa, dal vero? Di pali il mondo copresi che pare un cimitero; si abbatton torri e quercie e campanili, il cielo è tutto un rabesco di fili, costumi e tipi perdonsi, presto la moda viaggierà in vapore; ammireranno i ciondoli villico e pescatore. Musa! E noi pingerem carta bollata e canterem... la fisica applicata!

praga la strada ferrata on trasparenze, posizione ambivalente

Noi siamo i figli dei padri ammalati: aquile al tempo di mutar le piume, svolazziam muti, attoniti, affamati, sull'agonia di un nume. Nebbia remota è lo splendor dell'arca, e già all'idolo d'or torna l'umano, e dal vertice sacro il patriarca s'attende invano; s'attende invano dalla musa bianca che abitò venti secoli il Calvario, e invan l'esausta vergine s'abbranca ai lembi del Sudario... Casto poeta che l 'Italia adora, vegliardo in sante visioni assorto, tu puoi morir!... Degli antecristi è l'ora! Cristo è rimorto ! O nemico lettor, canto la Noia, l'eredità del dubbio e dell'ignoto, il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il tuo cielo, e il tuo loto ! Canto litane di martire e d'empio; canto gli amori dei sette peccati che mi stanno nel cor, come in un tempio, inginocchiati. Canto le ebbrezze dei bagni d'azzurro, e l'Ideale che annega nel fango... Non irrider, fratello, al mio sussurro, se qualche volta piango: giacché più del mio pallido demone, odio il minio e la maschera al pensiero, giacché canto una misera canzone, ma canto il vero!

praga preludio, in penombre

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, Io dirò un giorno le vostre nascite latenti: A, nero corsetto villoso di mosche splendenti Che ronzano intorno a crudeli fetori, Golfi d'ombra; E, candori di vapori e tende, Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle; I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra Nella collera o nelle ubriachezze penitenti; U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari, Pace di pascoli seminati d'animali, pace di rughe Che l'alchimia imprime nelle ampie fronti studiose; O, suprema Tromba piena di strani stridori, Silenzi attraversati da Angeli e Mondi: - O l'Omega, raggio viola dei suoi Occhi!

rimbaud vocali in poesie, analogia

Mentre discendevo i Fiumi impassibili, Non mi sentii più guidato dai bardotti: Pellirossa urlanti li avevano bersagliati Inchiodandoli nudi ai pali variopinti. Ero indifferente a tutto l'equipaggio, Portavo grano fiammingo o cotone inglese. Quando coi miei bardotti finirono i clamori, Mi lasciarono libero di discendere i Fiumi. Nello sciabordio furioso delle maree, Io l'inverno scorso, più sordo del cervello d'un bambino, Correvo! E le Penisole andate Non subirono mai sconquassi più trionfanti. La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli. Più leggero di un sughero ho danzato sui flutti Che si dicono eterni avvolgitori di vittime, Dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari! Più dolce che per il bimbo la polpa di mele acerbe L'acqua verde filtrò nel mio scafo d'abete E dalle macchie di vini azzurri e di vomito Mi lavò disperdendo l'ancora e il timone. E da allora mi sono immerso nel Poema del Mare, Intriso d'astri, e lattescente, Divorando gli azzurri verdi; dove, relitto pallido E rapito, un pensoso annegato a volte discende; Dove, tingendo a un tratto le azzurrità, deliri E ritmi lenti sotto il giorno rutilante, Più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire, Fermentano gli amari rossori dell'amore! Conosco cieli che esplodono in lampi, e le trombe E le risacche e le correnti: conosco la sera, L'Alba che si esalta come uno stormo di colombe! E a volte ho visto ciò che l'uomo ha creduto di vedere! Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori, Illuminare lunghi coaguli viola, Simili ad attori di antichissimi drammi, I flutti che lontano rotolavano in fremiti di persiane!

rimbaud, il battello ebbro in poesie

Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti a fior d'onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d'alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi. Quando l'alta marea e la notte li annullava, vele sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore.

saba Ulisse nel canzoniere, il mare è l'annullamento di sé l'esperienza che bisogna fare per diventare saggi, annulla l'io sofferente vivendo tra gli altri

Tu sei come una giovane una bianca pollastra. Le si arruffano al vento le piume, il collo china per bere, e in terra raspa; ma, nell'andare, ha il lento tuo passo di regina, ed incede sull'erba pettoruta e superba. È migliore del maschio. È come sono tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio, Così, se l'occhio, se il giudizio mio non m'inganna, fra queste hai le tue uguali, e in nessun'altra donna. Quando la sera assonna le gallinelle, mettono voci che ricordan quelle, dolcissime, onde a volte dei tuoi mali ti quereli, e non sai che la tua voce ha la soave e triste musica dei pollai.

saba a mia moglie nel canzoniere, rovesciamento positivo filosofia di shopenhauer,

Amai trite parole che non uno osava. M'incantò la rima fiore amore, la più antica, difficile del mondo Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato, che il dolore riscopre amica. Con paura il cuore le si accosta, che più non l'abbandona. Amo te che mi ascolti e la mia buona carta lasciata al fine del mio gioco.

saba amai nel canzoniere, poesia onesta e sincera, recupera il contatto con il lettore

Per una donna lontana e un ragazzo che mi ascolta, celeste, ho scritte, io vecchio, queste poesie. Ricordo, come in me lieto le ripenso. Antico pugile. Entello era il suo nome. Vinse l'ultima volta ai fortunosi giochi d'Enea lungo le amene spiagge della Sicilia, ospite Anceste. Bianche si rincorrevano sull'onde schiume che in alto mare eran Sirene. Era un cuore gagliardo ed era un saggio. "Qui - disse - i cesti, e qui l'arte depongo".

saba centello nel canzoniere,

spesso per tornare alla mia casa prendo un'oscura via di città vecchia. Giallo in qualche pozzanghera si specchia qualche fanale, e affollata è la strada. Qui tra la gente che viene che va dall'osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l'infinito nell'umiltà. Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d'amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s'agita in esse, come in me, il Signore. Qui degli umili sento in compagnia il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via.

saba città vecchia nel canzoniere, interesse per gli umili, antidannunziano, emerge un senso di solidarietà

Ed amai nuovamente; e fu di Lina dal rosso scialle il più della mia vita. Quella che cresce accanto a noi, bambina dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita. Trieste è la città, la donna è Lina, per cui scrissi il mio libro di più ardita sincerità; né dalla sua fu fin 'ad oggi mai l'anima mia partita. Ogni altro conobbi umano amore; ma per Lina torrei di nuovo un'altra vita, di nuovo vorrei cominciare. Per l'altezze l'amai del suo dolore; perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra, e tutto seppe, e non se stessa, amare.

saba ed amai nuovamente in canzoniere, poesia alla moglie

Galletto è alla voce il fanciullo; estrosi amori con quella, e crucci, acutamente incide. Ai confini del campo una bandiera sventola solitaria su un muretto. Su quello alzati, nei riposi, a gara cari nomi lanciavano i fanciulli, ad uno ad uno, come frecce. Vive in me l'immagine lieta; a un ricordo. si sposa - a sera - dei miei giorni imberbi. Odiosi di tanto eran superbi passavano 1à sotto i calciatori. Tutto vedevano, e non quegli acerbi.

saba fanciulli allo stadio nel canzoniere 5 poesie per il gioco del calcio, acerbo perché fuori dalla trappola della sessualità

Il portiere caduto alla difesa ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l'amara luce. Il compagno in ginocchio che l'induce con parole e con mano, a rilevarsi, scopre pieni di lacrime i suoi occhi. La folla - unita ebrezza - par trabocchi nel campo. Intorno al vincitore stanno, al suo collo si gettano i fratelli. Pochi momenti come questo belli, a quanti l'odio consuma e l'amore, è dato, sotto il cielo, di vedere. Presso la rete inviolata il portiere - l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima, con la persona vi è rimasta sola. La sua gioia si fa una capriola, si fa baci che manda di lontano. Della festa - egli dice - anch'io son parte.

saba goal dal canzoniere 5 poesie per il gioco del calcio,

Fu nelle vie di questo Borgo che nuova cosa m'avvenne. Fu come un vano sospiro il desiderio improvviso d'uscire di me stesso, di vivere la vita di tutti, d'essere come tutti gli uomini di tuttii giorni. Non ebbi io mai sì grande gioia, né averla dalla vita spero. Vent'anni avevo quella volta, ed ero malato. Per le nuove strade del Borgo il desiderio vano come un sospiro mi fece suo.

saba il borgo dal canzoniere, ruolo del poeta nella società

Falce martello e la stella d'Italia ornano nuovi la sala. Ma quanto dolore per quel segno su quel muro! Entra, sorretto dalle grucce, il Prologo. Saluta al pugno; dice sue parole perché le donne ridano e i fanciulli che affollano la povera platea. Dice, timido ancora, dell'idea che gli animali affratella; chiude: «E adesso faccio come i tedeschi: mi ritiro». Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro rosseggia parco ai bicchieri l'amico dell'uomo, cui rimargina ferite, gli chiude solchi dolorosi; alcuno venuto qui da spaventosi esigli, si scalda a lui come chi ha freddo al sole. Questo è il Teatro degli Artigianelli, quale lo vide il poeta nel mille novecentoquarantaquattro, un giorno di Settembre, che a tratti rombava ancora il cannone, e Firenze taceva, assorta nelle sue rovine.

saba il teatro degli artigianelli nel canzoniere, poesia più politica, lui non crede nella lotta di classe ma una forma primitiva e inconsapevole come pascoli

Tutto si muove contro te. Il maltempo, le luci che si spengono, la vecchia casa scossa a una raffica e a te cara per il male sofferto, le speranze deluse, qualche bene in lei goduto. Ti pare il sopravvivere un rifiuto d'obbedienza alle cose. E nello schianto del vetro alla finestra è la condanna.

saba il vetro rotto nel canzoniere, storia che irrompe nelle vite private

Ho parlato a una capra. Era sola sul prato, era legata. Sazia d'erba, bagnata dalla pioggia, belava. Quell'uguale belato era fraterno al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perché il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria. In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita.

saba la capra nel canzoniere, dolore singolo al dolore eterno, non si sta esprimendo pro o contro gli ebrei

Mia figlia mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo; ed io alla sua carezza m'addormento. Divento legno in mare caduto che sull'onda galleggia. E dove alla vicina sponda anelo, il flutto mi porta lontano. Oh, come sento che lottare è vano! Oh, come in petto per dolcezza il cuore vien meno! Al seno approdo di colei che Berto ancora mi chiama, al primo, all'amoroso seno, ai verdi paradisi dell'infanzia.

saba mia figlia dal canzoniere il piccolo berto, influenza della psicoanalisi ma pudica

Mio padre è stato per me "l'assassino", fino ai vent'anni che l'ho conosciuto. Allora ho visto ch'egli era un bambino, e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto. Aveva in volto il mio sguardo azzurrino, un sorriso, in miseria, dolce e astuto. Andò sempre pel mondo pellegrino; più d'una donna l'ha amato e pasciuto. Egli era gaio e leggero; mia madre Tùtti sentìva della vìta i pesi. Di mano ei gli sfuggì come un pallone. "Non somigliare - ammoniva - a tuo padre". Ed io più tardi in me stesso lo intesi: erano due razze in antica tenzone.

saba mio padre è stato per me l'assassino nel canzoniere,

la mia bambina con la palla in mano e gli occhi grandi color del cielo e dell'estiva vesticciola: «Babbo - mi disse - voglio uscire oggi con te». Ed io pensavo: Di tante parvenze che s'ammirano al mondo, io ben so a quali posso la mia bambina assomigliare. Certo alla schiuma, alla marina schiuma che sull'onde biancheggia, a quella scia ch'esce azzurra dai tetti e il vento sperde; anche alle nubi, insensibili nubi che si fanno e disfanno in chiaro cielo; e ad altre cose leggere e vaganti.

saba ritratto della mia bambina nel canzoniere,

Anch'io tra i molti vi saluto, rosso- alabardati, sputati dalla terra natia, da tutto un popolo amati. Trepido seguo il vostro gioco. Ignari esprimete con quello antiche cose meravigliose sopra il verde tappeto, all'aria, ai chiari soli d'inverno. Le angosce che imbiancano i capelli all'improvviso, sono da voi così lontane! La gloria vi dà un sorriso fugace: il meglio onde disponga. Abbracci corrono tra di voi, gesti giulivi

saba squadra paesana nel canzoniere 5 poesie per il gioco del calcio, desiderio di immedesimarsi nelle cose semplici ma è sempre nel suo cantuccio

Ho attraversato tutta la città. Poi ho salita un'erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città. Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia. Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa. Intorno circola ad ogni cosa un'aria strana, un'aria tormentosa, l'aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva.

saba trieste nel canzoniere, sfida la banalità della rima fiore e amore

Ho rivisto il giardino, il giardinetto contiguo, le palme del viale, la cancellata rozza dalla quale mi protese la mano ed il confetto.... ii. «Piccolino, che fai solo soletto?» «Sto giocando al Diluvio Universale.» Accennai gli stromenti, le bizzarre cose che modellavo nella sabbia, ed ella si chinò come chi abbia fretta d'un bacio e fretta di ritrarre la bocca, e mi baciò di tra le sbarre come si bacia un uccellino in gabbia. Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto di quel suo volto tra le sbarre quadre! La nuca mi serrò con mani ladre; ed io stupivo di vedermi accanto al viso, quella bocca tanto, tanto diversa dalla bocca di mia Madre! ...

sgozzano cocotte nei colloqui, donna e tempo, anti-dannunziano perché gode del desiderio senza realizzarlo

Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto), il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti, i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro, un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, gli oggetti col monito salve, ricordo, le noci di cocco, Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po' scialbi, le stampe, i cofani, gli albi dipinti d'anemoni arcaici, le tele di Massimo d'Azeglio, le miniature, i dagherottìpi: figure sognanti in perplessità, il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto, il cùcu dell'ore che canta, le sedie parate a damasco chèrmisi.... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta! ...

sgozzano l'amica di nonna speranza nei colloqui, la poesia cantilenante diventa romantica, come commerciale, gusto per le cose piccole e di poco valore

Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia, se già la Signora vestita di nulla non fosse per via... E penso pur quale Signora m'avrei dalla sorte per moglie, se quella tutt'altra Signora non già s'affacciasse alle soglie. Sposare vorremmo non quella che legge romanzi, cresciuta tra gli agi, mutevole e bella, e raffinata e saputa... Ma quella che vive tranquilla, serena col padre borghese in un'antichissima villa remota del Canavese... Ma quella che prega e digiuna e canta e ride, più fresca dell'acqua, e vive con una semplicità di fantesca, ma quella che porta le chiome lisce sul volto rosato e cuce e attende al bucato e vive secondo il suo nome: un nome che è come uno scrigno di cose semplici e buone, che è come un lavacro benigno di canfora spigo e sapone... un nome così disadorno e bello che il cuore ne trema; il candido nome che un giorno vorrò celebrare in poema, il fresco nome innocente come un ruscello che va: Felìcita! Oh! Veramente Felìcita!... Felicità...

sgozzano l'ipotesi nelle poesie sparse, prende in giro il poeta vate d'annunzio e il poemetto maya

Tra bande verdi gialle d'innumeri ginestre la bella strada alpestre scendeva nella valle. Andavo con l'Amica, recando nell'ascesa la triste che già pesa nostra catena antica; quando nel lento oblio, rapidamente in vista apparve una ciclista a sommo del pendio. Ci venne incontro; scese. "Signora! Sono Grazia!" sorrise nella grazia dell'abito scozzese. "Graziella, la bambina?" - "Mi riconosce ancora?" "Ma certo!" E la Signora baciò la Signorina. La piccola Graziella! Diciott'anni? Di già? La Mamma come sta? E ti sei fatta bella! "La piccola Graziella, così cattiva e ingorda!..." "Signora, si ricorda quelli anni?" - "E così bella vai senza cavalieri in bicicletta?" - "Vede..." "Ci segui un tratto a piede?" - "Signora, volentieri..." ...

sgozzano le due strade dei colloqui, la strada della giovane e la strada del poeta, realtà e fantasia, non lo ringrazia

Gentile Ettore Serra poesia è il mondo l'umanità la propria vita fioriti dalla parola la limpida meraviglia di un delirante fermento Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso

ungaretti commiato nell'allegria, l'ideale della poesia, l'abisso corrisponde al porto sepolto da cui trarre la verità

Quando su ci si butta lei, Si fa d'un triste colore di rosa Il bel fogliame. Strugge forre, beve fiumi, Macina scogli, splende, È furia che s'ostina, è l'implacabile, Sparge spazio, acceca mete. È l'estate e nei secoli Con i suoi occhi calcinanti Va della terra spogliando lo scheletro.

ungaretti di luglio nel sentimento del tempo, l'estate che come il barocco che unisce e distrugge

Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte Foglia appena nata Nell'aria spasimante involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità Fratelli

ungaretti fratelli nell'allegria, l'aggettivo anticipato è qualificativo se è posposto è più predicativo, struttura ad anello

In nessuna parte di terra mi posso accasare A ogni nuovo clima che incontro mi trovo languente che una volta già gli ero stato assuefatto E me ne stacco sempre straniero Nascendo tornato da epoche troppo vissute Godere un solo minuto di vita iniziale Cerco un paese innocente

ungaretti girovago nell'allegria, anacoluto, bambini senza memorie

Mi tengo a quest'albero mutilato Abbandonato in questa dolina Che ha il languore Di un circo Prima o dopo lo spettacolo E guardoIl passaggio quieto Delle nuvole sulla luna Stamani mi sono disteso In un'urna d'acqua E come una reliquia Ho riposato L'Isonzo scorrendo Mi levigava Come un suo sasso Ho tirato su Le mie quattro ossa E me ne sono andato Come un acrobata Sull'acqua

ungaretti i fiumi nell'allegria, si conosce a parigi poi meglio con la guerra

Vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde Di questa poesia mi resta quel nulla di inesauribile segreto.

ungaretti il porto sepolto nell'allegria, il poeta coglie frammenti e li porta alla luce, viaggio della poesia è universale, quello di ungaretti è un ritorno = forza centripeta (ossola)

Si chiamava Moammed Sceab Discendente di emiri di nomadi suicida perché non aveva più Patria Amò la Francia e mutò nome Fu Marcel ma non era Francese e non sapeva più vivere nella tenda dei suoi dove si ascolta la cantilena del Corano gustando un caffè ...

ungaretti in memoria nell'allegria, non è riuscito a risolvere la tragedia attraverso la poesia, responsabilità di chi è sopravvissuto, valore eternante della poesia

A una proda ove sera era perenne Di anziane selve assorte, scese, E s'inoltrò E lo richiamò rumore di penne Ch'erasi sciolto dallo stridulo Batticuore dell'acqua torrida, E una larva (languiva E rifioriva) vide; Ritornato a salire vide Ch'era una ninfa e dormiva Ritta abbracciata ad un olmo. In sé da simulacro a fiamma vera Errando, giunse a un prato ove L'ombra negli occhi s'addensava Delle vergini come Sera appiè degli ulivi; Distillavano i rami Una pioggia pigra di dardi, Qua pecore s'erano appisolate Sotto il liscio tepore, Altre brucavano La coltre luminosa; Le mani del pastore erano un vetro Levigato da fioca febbre.

ungaretti l'isola nel sentimento del tempo,

M'illumino d'immenso.

ungaretti mattina nell'allegria, settenario spezzato, momentaneità

Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca È il mio cuore il paese più straziato

ungaretti san martino del carso nell'allegria, strazio della guerra

si stà come d'autunno sugli alberi le foglie

ungaretti soldati nell'allegria,

come questa pietra del S.Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata Come questa pietra è il mio pianto che non si vede La morte si sconta vivendo

ungaretti sono una creatura nell'allegria, il poeta si sente annichilito dalla guerra, sintesi ma non abbandona la similitudine per attaccamento alla realtà

D'improvviso è alto sulle macerie il limpido stupore dell'immensità E l'uom ocurvato sull'acqua sorpresa dal sole si rinviene un'ombra Cullata e piano franta.

ungaretti vanità nell'allegria, esperienza di stupore

Un'intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita

ungaretti veglia nell'allegria, valore consolatorio della poesia

Sono l'impero1 alla fine della decadenza che guarda passare i grandi Barbari bianchi componendo acrostici indolenti dove danza il languore del sole in uno stile aureo. Soletta l'anima soffre di noia densa al cuore. Laggiù, si dice, infuriano lunghe battaglie cruente. O non potervi, debole e così lento ai propositi, non volervi far fiorire un po' quest'esistenza! O non volervi, o non potervi un po' morire! Ah! Tutto è bevuto! Non ridi più, Batillo? Tutto è bevuto, tutto è mangiato! Niente più da dire! Solo, un poema un po' fatuo che si getta alle fiamme, solo, uno schiavo un po' frivolo che vi dimentica solo, un tedio d'un non so che attaccato all'anima!

verlaine languore in un tempo e poco fa, forma del sonetto, decadenza

La musica, prima di ogni altra cosa: e per questo preferisci l'impari,più vago e solubile nell'aria, senza nulla in sé che pesi e posi. È necessario poi che tu non scelga le tue parole senza qualche errore: nulla è più caro della canzone grigia in cui l'incerto si unisca al preciso. Sono occhi deliziosi dietro veli, è la grande luce tremula del mezzogiorno, è - in un cielo tiepido d'autunno l'azzurro brulichio di chiare stelle! Perché vogliamo ancor la sfumatura, non colore, ma solo sfumatura! Oh, solo essa accoppia il sogno

verlaine, arte e poetica in un tempo che fu

nel secolo scorso l'applicazione più esatta del metodo sperimentale fa sorgere la chimica e la fisica che si liberano degli elementi irrazionali e soprannaturali

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